Testo e ricerche di Nadia Davoli
Disegno di Stefano Baiocchi

Nell’ “Orlando Furioso” il poeta Ludovico Ariosto collocava, a simbolo del male, una donna “nido di tutti i vizi infandi e rei”, una vecchia che lui stesso definiva strega, vecchia maligna e malvagia, al soldo di un gruppo di malfattori, che agiva per il male dei protagonisti positivi della narrazione ariostesca e il cui nome insolito non traeva origine come gli altri dell’opera dalla letteratura classica, bretone e carolingia.

Si chiamava Gabrina. Come mai l’Ariosto, per un così cupo personaggio, scelse un nome insolito per la sua onomastica? Ludovico Ariosto nasce nel 1474 a Reggio Emilia nella bella casa della famiglia materna in un sobborgo della città. A Reggio era ancora viva la memoria di un famoso processo ad una donna, avvenuto quasi esattamente cent’anni prima, nel 1375. La donna si chiamava Gabrina di Gianozzo degli Albeti, e il suo processo è finora tra i più antichi per stregoneria di cui si conservano gli atti.

Era il luglio del 1375, e Gabrina comparve non davanti ad un tribunale ecclesiastico ma una corte civile presieduta dal vicario del Podestà di Reggio, definita “mulier malefica, incantatrix, apistrizatrix”, cioè una che fa intrugli, e li fa soprattutto con erbe “facere cum herbis”, da questo e da ben poco altro venne l’ accusa di “eresia”. Per la fortuna, se così si può dire, di Gabrina non era ancora nato il Tribunale dell’Inquisizione, anche se l’occhio lungo della Chiesa era comunque sempre ben presente.

Ma chi era Gabrina? Principalmente una herbaria (o erbaiola, donna che conosce le erbe) che non traeva alcun beneficio economico dal suo operare, probabilmente perché di famiglia benestante. Dava consigli, suggeriva rimedi, spesso erboristici e altrettanto spesso mischiati a rimedi ritenuti magici. E trasmetteva il suo sapere: negli atti del processo ricorrono spesso i termini “insegnò” ed “istruì”. Non agiva mai in prima persona: insegnava come fare per ottenere beneficio. Gabrina era una confidente a cui molte persone si rivolgevano per avere aiuto, sollievo, o anche solo qualcuno che le potesse ascoltare. Alle mogli dei molti mariti violenti, Gabrina consigliava un semplice infuso di camomilla, delle cui proprietà calmanti si fa uso anche oggi, a cui però in alcuni casi accostò gesti simbolici dalle radici antichissime: ad una di queste mogli sventurate, picchiata ed insultata dal marito a cui tuttavia teneva ad esempio, oltre all’infuso di camomilla suggerì di toccarsi la vulva, portarsi la mano umida alla bocca e poi baciare il marito.